Girando intorno a Murakami e al suo mondo, mi è capitato di leggere un articolo di Giorgio Amitrano, già uscito su Alias e poi pubblicato su un bel blog, Le parole delle cose, dove vi consiglio di andare a curiosare.
Giorgio Amitrano è il traduttore di
Murakami, la persona che ha il difficilissimo compito di trasformare
qualcosa in qualcos'altro rispettandone, tuttavia, la natura, il senso,
il ritmo.
“Tradurre
Murakami significa, dall’inizio alla fine, affrontare problemi
concreti, cercare pazientemente nella propria cassetta degli
strumenti la parola giusta e, una volta trovata, valutarne il colore,
il peso, la densità; giudicarla perfetta e doverla poi, con
rammarico, mettere da parte perché non “lega” col resto della
frase. Oppure capita di usare la lima per ridurre le ripetizioni,
sapendo che in giapponese sono accettate e in italiano no. Alcuni
giudicano la ripetitività di Murakami un difetto, ma anche se a
volte io stesso la trovo irritante, devo ammettere che le sue
ripetizioni non indeboliscono il racconto, anzi lo rafforzano. E alla
fine diventano una cifra stilistica. Per questo bisogna fare
attenzione. Limare troppo modificherebbe il profilo dei suoi testi,
alterandone i lineamenti. Allo stesso tempo, riprodurre integralmente
ogni ripetizione, ignorando che giapponese e italiano obbediscono a
diverse regole di logica e ritmo, provocherebbe nel lettore un
rifiuto.”
Il
lavoro del traduttore è un lavoro paziente di ricerca continua, una ricerca
solitaria e
quotidiana senza la quale i confini in cui viviamo,
immaginiamo e pensiamo sarebbero assai più stretti. Eppure il
traduttore è un po' il fantasma della letteratura, è per questo che
mi è venuta voglia di scrivere due righe per ricordare chi ci ha reso possibile leggere qualcosa altrimenti illegibile.
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