lunedì 18 marzo 2013

MIchela Murgia, la Sardegna e l'Accabadora


"Ci sono buchi in Sardegna che sono case di fate, morti che sono colpa di donne vampiro, fumi sacri che curano i cattivi sogni e acque segrete dove la luna specchiandosi rivela il futuro e i suoi inganni. Ci sono statue di antichi guerrieri alti come nessun sardo è stato mai, truci culti di santi che i papi si sono scordati di canonizzare, porte di pietra che si aprono su mondi ormai scomparsi, e mari di grano lontani dal mare, costellati di menhir contro i quali le promesse spose si strusciano nel segreto della notte, vegliate da madri e nonne. C'è una Sardegna come questa, o davanti ai camini si racconta che ci sia, che poi è la stessa cosa, perché in una terra dove il silenzio è ancora il dialetto piú parlato, le parole sono luoghi piú dei luoghi stessi, e generano mondi.”



Questa è la terra di Michela Murgia, descritta nel suo Viaggio in Sardegna (Einaudi, 2008), quella che lei definisce” il suo baricentro, il punto di vista da cui ha sempre guardato il mondo. Una terra che non ha mai lasciato e che descrive con tanta profondità e poesia da farne innamorare chiunque.
Michela Murgia, classe 1972, ha vinto il premio Campiello nel 2010 con il libro Accabadora, oggetto della nostra prossima discussione (martedì 9 aprile).
Il premio è arrivato, si dice, a sorpresa (ma non troppo): con 119 voti su 300  ha battuto gli altri finalisti (Gad Lerner, Antonio Pennacchi, Gianrico Carofiglio, Laura Pariani, Silvia Avallone). Ricevendo il premio alla Fenice di Venezia, il suo pensiero non è stato, come ci si poteva aspettare, per sua madre, o per le sue due madri, ma a un'altra madre che in quel momento rappresentava tutte le madri del mondo schiacciate dalla violenza di una legge assurda: "Dedico il premio non alla Sardegna che ora non ne ha bisogno, ma a Sakineh, la giovane donna iraniana" condannata alla lapidazione.
Quando parla Michela Murgia ha la lucidità e la capacità di analisi di una combattente, una forza insolita che esercita una attrazione quasi magnetica. Del resto è proprio per combattere, "per necessità", che ha iniziato a scrivere, perché, come ha dichiarato in un'intervista “quando niente di quello che puoi fare farà la differenza, forse la differenza la devi fare con quello che puoi dire”. Così ha aperto un blog in cui raccontava la sua esperienza di lavoro,  denunciando sfruttamento e sopraffazioni.  Dopo solo un mese e mezzo un editore ha letto i suoi post e le ha proposto la pubblicazione di un libro. 
Ha esordito nel 2006, senza aver mai scritto nulla prima di allora, con un libro sulla condizione dei precariato italiano, Il mondo deve sapere, un diario tragi-comico ambientato nel mondo dei call-center. Il libro ispirerà poi il bellissimo film di Virzì Tutta la vita davanti.
Prima di raggiungere il successo, Michela Murgia ha svolto diversi lavori che ha definito “tutti interessanti”. Uno di questi è stato il portiere di notte in un albergo del suo paese. Chi l'assunse cercava in realtà un uomo, ma lei seppe persuaderlo che all'occorrenza sapeva essere un uomo convincente. Non abbiamo dubbi.


1 commento:

  1. Michela Murgia è una a cui piace scrivere. Si nota subito nel suo libro Accabadora, scritto prima di tutti gli altri romanzi che l'hanno resa famosa.
    Lo si capisce perché in questo libro è stata capace di parlare di poche cose, di pochi personaggi e di ridotti paesaggi, eppure durante la lettura sembra aprirti un mondo davanti. Lo si capisce perchè, anche quando pensi che il libro stia per finire, lei aggiunge altro.
    In un'intervista alla casa editrice Einaudi ha dichiarato che le prime cinque cartelle di questa storia le aveva presentate ad un concorso per scrittori esordienti, organizzato dalla scuola Holden. In quella occasione arrivò prima e capì immediatamente che il libro poteva lievitare. Ha impiegato due anni per terminare l'opera e un po' si nota che gli altri impegni lavorativi prendevano il sopravvento sulla scrittura scorrevole e lineare.
    A lei piace – dice sempre in questa intervista – “la maternità elettiva”, quella che si può anche scegliere, quella che ti permette di tornare indietro, se qualcosa non funziona. Lei stessa è fill'e anima e la questione del destino l'avrà vissuta senza vincoli di sangue.
    Insomma alla Murgia non sembrano piacere i limiti, le regole e le imposizioni. Vuole descrivere il più possibile, anche debordando, tutto quello che una ragazzina adolescente può provare, ma senza metterci mai un pre-giudizio. E' questo il grande pregio del libro, si raccontano temi moralmente difficili, questioni che non si possono tagliare con l'accetta, eppure ti sembra di leggere la vita com'è, piena di dubbi e ripensamenti.
    Il libro scorre così, nell'ennesima provincia sarda, anni '50, dove il ritmo del paese è scandito più dalle irregolarità che dalla routine. Una bambina viene presa in carico da una signorina, senza più fidanzato morto in guerra, e da lei apprende la vita pratica ma soprattutto i pensieri pratici, quelli che devi trovare quando sei in situazione di emergenza, quelli che devi avere quando un tuo amico stretto, un familiare, un parente ti chiede di aiutarlo amorevolmente.
    La protagonista aiuta tutti ma senza telecamere, senza protagonismi, senza clamore e questo purtroppo, in un Paese come il nostro, è un limite.

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