Di nuovo nel Mediterraneo
alla ricerca del padre
Il primo uomo di
Albert Camus
non ho mai potuto
rinunciare alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in
cui sono cresciuto
Un po' vittime un po' complici della
nostra storia, ci siamo imbattuti in un altro Nobel. Il passaggio è
stato guidato dalla nostra lettura precedente, Zorba il greco: nel
1957 infatti, Nikos Katzantzakis, l'autore di Zorba, aveva mancato il
premio per un solo punto. L'aveva vinto Camus, che gli scrisse una
lettera molto bella. E allora, Camus.
Dello scrittore franco-algerino abbiamo
scelto Il primo uomo e di
questo abbiamo discusso durante il nostro incontro del 14 giugno. Due
di noi hanno letto Lo straniero e
magari poi, se ne avranno voglia, aggiungeranno un post per tutto il
gruppo.
Il primo uomo ci
è piaciuto moltissimo, tanto che alcune sere dopo abbiamo
organizzato un piccolo cine-club per vedere il film di Gianni Amelio.
Camus
è un gigante, senza se e senza ma. Si laurea in filosofia nel 1936
con una tesi sui rapporti tra Ellenismo e Cristianesimo nelle opere
di Plotino e S. Agostino (Metafisica cristiana ed
ellenismo) proprio quando
l'Europa sta per sprofondare nel baratro della seconda guerra
mondiale. Camus, nato nel 1913, aveva già da tempo fatto i conti con
il dolore: aveva contratto la tubercolosi, considerata ai tempi
inguaribile, che lo riprenderà diverse volte, e aveva perso suo
padre, morto giovanissimo nella battaglia della Marna, durante la
prima guerra mondiale, nell'ottobre del 1914.
Nel
1937 abbandona il Partito Comunista cui aveva aderito nel '34,
continua gli studi di filosofia e, tra ritorni ad Algeri e soggiorni
parigini, entra nella Resistenza. Nel 1943 viene pubblicato Lo
straniero. La rottura con Sartre
si consuma tra il 1951 e il 1953 e le bordate che spararono l'uno
contro l'altro sono leggenda, ma qui non entriamo nel dettaglio.
Piuttosto, attraverso alcuni brani del discorso fatto durante il
conferimento del premio, osserviamo, in un solo colpo d'occhio,
l'uomo, lo scrittore, la sua morale, la sua azione (per inciso, prima
della rottura, proprio questo disse di lui Sartre: "l'ammirevole congiunzione di una persona, di un'azione e di un'opera").
Ecco dunque alcune frasi:
La missione dello scrittore è
fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può
mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al
servizio di quelli che la subiscono.
[...] Il silenzio di un
prigioniero sconosciuto e umiliato all'altro capo del mondo sarà
sufficiente a trarre lo scrittore dal suo esilio, ogni volta, almeno,
che arriverà, pur nei privilegi della libertà, a non dimenticare
questo silenzio e a divulgarlo con i mezzi dell'arte.
[…] Nessuno di noi è
abbastanza grande per una simile vocazione. Ma in tutte le
circostanze della sua vita […] lo scrittore può ritrovare il
sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola
condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la
grandezza della sua missione. Essere al servizio della verità e
della libertà.
[…] Qualunque siano le nostre
debolezze personali, la nobiltà del nostro mestiere avrà sempre le
sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la
resistenza all'oppressione.
Poi questa, di lucidità implacabile:
Ogni generazione, senza dubbio,
si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà.
E infine:
La verità è misteriosa,
sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da
vivere quanto esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due
obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un
così lungo cammino.
Il primo uomo è
stato pubblicato postumo nel 1994, a cura della figlia Catherine,
sulla base di un manoscritto che si trovava in una sacca
nell'automobile in cui Camus trovò la morte nell'incidente del 4
gennaio del 1960. Da quanto risulta dalla sua biografia, è un libro
scritto in un momento molto difficile: la rottura con Sartre e le
polemiche seguite al conferimento del Nobel lo fanno sentire sempre
più isolato. Ha forse bisogno di tornare a sé e – come dice sua
figlia “per dire chi è dice da dove viene”. Il “dove” è
l'Algeria, Mondovi, la povera stanza in cui è nato in una notte di
violenti temporali, è Belcourt, il sobborgo operaio di Algeri, dove
la madre si sposta con la famiglia e dove la raggiunge la notizia
della morte del marito.
Ma
questo “dove” è inscritto in un altro, più grande, quello del
“primo uomo” ed è il mondo indicibilmente duro, ricolmo di
conflitti, di odio, di malattia e di morte che i francesi si trovano
davanti quando sbarcano come coloni nel 1848: invece della terra
promessa che si aspettavano si ritrovano letteralmente in una palude,
in balia delle piogge, delle continue incursioni degli arabi che li
vogliono cacciare, dei leoni di Numidia (quelli con la criniera nera,
come è specificato nei taccuini aggiunti al racconto) che ruggiscono
di notte fuori delle tende in cui i coloni si sono accampati nella
più totale promiscuità e in condizioni di igiene disastrose. Ci
vogliono almeno quattro anni perché dalle tende passino alle case e
si stabiliscano in una convivenza sempre difficile con la popolazione
araba locale. Circa un secolo dopo, gli algerini si liberano
attraverso una guerra cruentissima, che dura dal 1954 al 1962, in
seguito alla quale la stragrande maggioranza dei francesi pieds
noirs, come erano appunto i
Camus, lasciano il paese. Non così la madre dello scrittore, che
rimane ad Algeri.
Camus scrive
questo suo ultimo romanzo mentre tutto ciò sta avvenendo, mentre il
suo “dove” si sgretola e la sua posizione è incompresa da tutte
e due le parti: per lui non c'era differenza tra un povero arabo e un
povero francese, Algeria araba e Algeria francese erano la stessa
cosa, cioè il suo paese, il suo sole, il suo mare, la struggente
bellezza dei pomeriggi di gioco sfrenato di quando era bambino....
Fermiamoci qui
perché è impossibile riassumere tutto quello che ci sarebbe da dire
intorno al libro e alla figura di questo grande intellettuale e
torniamo alla trama del libro, a prima vista sfilacciata poi sempre
più coinvolgente e incredibilmente commovente.
L'inizio –
quello che ha colpito molti di noi – è quasi epico, con il calesse
carico di bauli che si fa strada nella tempesta per consegnare infine
una stremata partoriente in una casa sconosciuta nelle mani di alcune
donne sconosciute che l'aiutano a “fare da sé” ben prima che
arrivi il dottore. È la madre di Camus, Catherine, e inizia così il
suo soggiorno in Algeria.
Secondo capitolo.
Jacques Cormery (alias dello scrittore) è a Saint-Brieuc, in
Francia, cercando la tomba di suo padre Henry, morto nell'ottobre del
1914. Trova la tomba, fa un rapido calcolo: suo padre aveva ventinove
anni quando morì, lui ne ha quaranta.
Parte allora la
ricerca del parte, suscitata dal desiderio di ridare dignità di
memoria a questo povero morto dimenticato, cercare di scoprire chi
era.
Ritorno ad Algeri,
dialoghi con la madre amatissima, sempre distante nella sua quasi
sordità, recupero a poco a poco di tutta l'infanzia, un'infanzia in
cui un padre non c'è. C'è una nonna tagliata con l'accetta,
pilastro della casa, terrificante nelle sue punizioni, c'è uno zio,
strano di testa ma molto bello, c'è un maestro intelligente che
permetterà a Jacques lo scarto decisivo, quello dell'emancipazione
attraverso la studio, la scuola. Tutto ciò con una scrittura
attaccata agli esseri umani, a quel che sono e a quel che diventano,
che ne restituisce in modo quadrimensionale la figura, per noi che
non c'eravamo, lì, nella polvere assolata di Belcourt ma che a fine
lettura sapremmo quasi descrivere l'odore della nonna, di Pierre,
l'amico che lo accompagna fino alla fine. E soprattutto non
dimenticheremo mai il senso profondo della solidarietà dell'uomo che
scrive verso il mondo che ha abitato: mai esibita come una medaglia
ma anzi vissuta attraverso dubbi e conflitti, perseguita quasi come
se avesse in sé una necessità superiore, l'unica possibilità di
riscatto che ha l'uomo per giustificare la sua permanenza in un mondo
assurdo.
“Solitaire – solidaire” lo descrive la figlia, forse Camus è tutto in questa antinomia.
Camus
con i figli Catherine e Jean
buongiorno
RispondiEliminaStamattina presto ho letto il nostro blog con il commento di Rossella al nostro ultimo libro letto di Camus.
Bello e completo di riferimenti biografici e storici cosÍ da ricordare meglio il libro visto che, dopo un pò, tendo a dimenticare i luoghi, i personaggi dei libri che leggiamo.
Rossella ha riportato alcune frasi del discorso di Camus in occasione del suo premio Nobel. Mi ha colpito questa :
La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono.
Mi ha colpito perché mi è venuto in mente quello che ha detto ieri Nicola Lagioia in un incontro cui siamo andate ieri pomeriggio alla Garbatella con Caterina .
È stata una piacevole conoscenza con lo scrittore che per me era finora solo la curiosa ed arguta voce di Pagina Tre alla radio quelle poche mattine che riesco ad ascoltarlo perché arrivo al lavoro un pó più tardi.
Mi è sembrata una bella persona , molto attenta ai fatti ed alle alle dinamiche sociali. Insomma visto che la frase di Camus me ho fatto venire in mente e che mi sembra sia su quella strada mi ha incuriosito. Quindi quest'estate , in aggiunta ai libri della Ortese e La Capria che abbiamo deciso di leggere , aggiungerò anche La Ferocia come già sta facendo Caterina .
Spero di farcela.....
Saluti a tutti
Laura