Felix
Valloton, Gertrude Stein, 1907
Molto
diversi i pareri su “Autobiografia di Alice Toklas” di Gertrude
Stein (1874-1946), tema del nostro incontro del 6 giugno. Ad alcuni è
piaciuto molto, ad altri così così, ad altri per niente. Avevamo
scelto il libro come ideale termine del nostro piccolo viaggio nella
letteratura americana per almeno due motivi strettamente collegati:
Stein è una figura letteraria di prim'ordine nella storia della
letteratura americana non solo per sé ma anche in riferimento e in
rapporto alla letteratura degli americani “espatriati” incrociati a Parigi dove lei visse quasi ininterrottamente dall'età
di 29 anni fino alla morte. Si tratta di Hemingway, Fitzgerald, Dos
Passos, autori che erano stati, oltre a Faulkner e Steinbeck, oggetto
delle nostre letture precedenti. Quelli che lei stessa chiamerà dopo
la guerra “generazione perduta”. Come
ben rappresentato da Woody Allen in “Midnight in Paris”, il
salotto di Gertrude Stein (e di Alice B. Toklas, di cui parleremo
diffusamente tra un po') in rue de Fleurus era una sorta di galleria
privata d'arte contemporanea, teatro di cene e incontri con e tra
artisti e scrittori, e punto di incontro di viaggiatori
internazionali interessati a questo “milieu”. Il
libro venne pubblicato nel 1933, pubblicato in Italia nel
1972 con la traduzione di Cesare Pavese. In questa traduzione molti
di noi l'hanno letto, alcuni invece nella sfortunata (diciamo così)
traduzione di Silvia Cecchini (anche se la pavesiana “una vita di
contento” per “a pleasant life” non è che sia il massimo....).
Il testo in inglese si trova online e lì è stato consultato. Andrea Colasanti, esponente del gruppo “dislike”, facendo un semplice “cerca”, ha trovato che il nome "Gertrude Stein" compare 272 volte compreso titolo e indice, "Alice Toklas" compare 1 volta, "Miss Stein" compare 29 volte, "Miss Toklas" 4 volte, "Alice" 7 volte, "Picasso" 81 volte, "Pablo" 15 volte, "Matisse" 55 volte, "Hemingway" 21 volte. Se sottolineiamo questo è perché alcuni di noi hanno riscontrato un fastidioso narcisismo, quasi da culto della personalità. Certo, Stein è autrice del famoso verso “una rosa è una rosa è una rosa”, spesso citato come esempio del suo assoluto disinteresse per il contenuto e viceversa per il suo attaccamento quasi maniacale alle cose come sono. Agli oggetti come si presentano ai nostri occhi. E indubbiamente l'”oggetto” della Autobiografia è Gertrude Stein, che finge che il soggetto scrivente sia Alice Toklas.
Alice Babette Toklas (1877-1967), questo il nome per esteso, è stata la compagna di vita di Gertrude Stein, come lei americana di origine ebraica. Si conobbero a Parigi nel 1907 e non si separarono più. Il loro rapporto è stato un vero e proprio rapporto matrimoniale, in cui Stein ricopriva il ruolo di marito e Toklas quello - molto tradizionale - di moglie. Una moglie affettuosa oltreché impeccabile segretaria e dattilografa, totalmente immersa nel cerchio affettivo e intellettuale della sua compagna. Il primo capitolo del libro si intitola “Prima di venire a Parigi” e davvero, se non si sapesse già chi è il vero autore del libro, si sarebbe quasi indotti a pensare che si tratti di una autobiografia canonica. Quasi, perché, dopo un brevissimo cenno alla sua infanzia e giovinezza, inizia il racconto della “vita di pienezza” che iniziò con il suo arrivo a Parigi dopo l'incendio di San Francisco. La sostanza di questa vita di pienezza furono i tre geni che Alice incontrò a Parigi e di cui da adesso in poi parlerà. Nell'ordine: Gertrude Stein, Picasso e Alfred Whitehead. A questo punto comincia il gioco di specchi, Alice parla con la voce di Gertrude, una Gertrude che ha però il tono inconfondibilmente ironico di Alice. È noto infatti come nel registro di Stein l'ironia non compaia, e invece qui c'è ma è mescolata con lo stile semplice, paratattico (una rosa è una rosa....) suo proprio. Lunghi resoconti di cene con Matisse, Picasso, Juan Gris, relative mogli e compagne, filosofi e scrittori, critici d'arte, spesso ravvivati da un guizzo di ironia ma irrimediabilmente legati gli uni agli altri dagli innumerevoli e immutabili “e fu allora che...” che rendono un po' noiosa la cronaca preziosa di quegli incontri, di quel tempo, dei rapporti tra quei personaggi.
Indubbiamente di grandissimo interesse il racconto delle esposizioni d'arte, dei dipinti di Cézanne, Matisse, Vallotton, Picasso... dei rapporti con il nascente mercato moderno dell'arte, di cui la stessa Gertrude Stein e prima di lei suo fratello Leo sono tra i protagonisti, i giudizi critici dati senza alcuna spocchia e anzi con una competenza quasi naturale. E così i succosi commenti (“Fernande [la moglie di Picasso] era bella ma poco maneggevole”) e le descrizioni degli artisti come uomini comuni, forse tra le cose più godibili del libro, con le loro piccolezze e idiosincrasie. Tanto che una delle critiche fatte al libro è che in fondo si tratta di una raccolta di pettegolezzi. Eccone uno: “A quei tempi Van Dongen era povero, aveva una moglie olandese vegetariana e alla sua tavola si viveva di spinaci. Sovente Van Dongen fuggiva gli spinaci in una bettola di Montmartre dove certe donnine gli pagavano quel che mangiava e quel che beveva”.
Tutto questo fino a che “nella primavera e nella prima estate del '914 la vecchia vita ebbe fine”. Il capitolo (il sesto, “La guerra”) è molto interessante – soprattutto nella descrizione delle manovre della Stein con l'automobile che guidava ma di cui non sapeva ingranare la marcia indietro, mentre prestava servizio insieme ad Alice per l'American Fund for French wounded - ma noiosissimo: pieno di quei “ci piaceva tanto”, “era così caro”, “andavamo straordinariamente d'accordo” che, anche se riconosciamo come segno di stile, non incontrano il nostro gusto...
Ecco dunque, come promesso, il finale dell'Autobiografia, piuttosto geniale.
Il testo in inglese si trova online e lì è stato consultato. Andrea Colasanti, esponente del gruppo “dislike”, facendo un semplice “cerca”, ha trovato che il nome "Gertrude Stein" compare 272 volte compreso titolo e indice, "Alice Toklas" compare 1 volta, "Miss Stein" compare 29 volte, "Miss Toklas" 4 volte, "Alice" 7 volte, "Picasso" 81 volte, "Pablo" 15 volte, "Matisse" 55 volte, "Hemingway" 21 volte. Se sottolineiamo questo è perché alcuni di noi hanno riscontrato un fastidioso narcisismo, quasi da culto della personalità. Certo, Stein è autrice del famoso verso “una rosa è una rosa è una rosa”, spesso citato come esempio del suo assoluto disinteresse per il contenuto e viceversa per il suo attaccamento quasi maniacale alle cose come sono. Agli oggetti come si presentano ai nostri occhi. E indubbiamente l'”oggetto” della Autobiografia è Gertrude Stein, che finge che il soggetto scrivente sia Alice Toklas.
Alice Babette Toklas (1877-1967), questo il nome per esteso, è stata la compagna di vita di Gertrude Stein, come lei americana di origine ebraica. Si conobbero a Parigi nel 1907 e non si separarono più. Il loro rapporto è stato un vero e proprio rapporto matrimoniale, in cui Stein ricopriva il ruolo di marito e Toklas quello - molto tradizionale - di moglie. Una moglie affettuosa oltreché impeccabile segretaria e dattilografa, totalmente immersa nel cerchio affettivo e intellettuale della sua compagna. Il primo capitolo del libro si intitola “Prima di venire a Parigi” e davvero, se non si sapesse già chi è il vero autore del libro, si sarebbe quasi indotti a pensare che si tratti di una autobiografia canonica. Quasi, perché, dopo un brevissimo cenno alla sua infanzia e giovinezza, inizia il racconto della “vita di pienezza” che iniziò con il suo arrivo a Parigi dopo l'incendio di San Francisco. La sostanza di questa vita di pienezza furono i tre geni che Alice incontrò a Parigi e di cui da adesso in poi parlerà. Nell'ordine: Gertrude Stein, Picasso e Alfred Whitehead. A questo punto comincia il gioco di specchi, Alice parla con la voce di Gertrude, una Gertrude che ha però il tono inconfondibilmente ironico di Alice. È noto infatti come nel registro di Stein l'ironia non compaia, e invece qui c'è ma è mescolata con lo stile semplice, paratattico (una rosa è una rosa....) suo proprio. Lunghi resoconti di cene con Matisse, Picasso, Juan Gris, relative mogli e compagne, filosofi e scrittori, critici d'arte, spesso ravvivati da un guizzo di ironia ma irrimediabilmente legati gli uni agli altri dagli innumerevoli e immutabili “e fu allora che...” che rendono un po' noiosa la cronaca preziosa di quegli incontri, di quel tempo, dei rapporti tra quei personaggi.
Indubbiamente di grandissimo interesse il racconto delle esposizioni d'arte, dei dipinti di Cézanne, Matisse, Vallotton, Picasso... dei rapporti con il nascente mercato moderno dell'arte, di cui la stessa Gertrude Stein e prima di lei suo fratello Leo sono tra i protagonisti, i giudizi critici dati senza alcuna spocchia e anzi con una competenza quasi naturale. E così i succosi commenti (“Fernande [la moglie di Picasso] era bella ma poco maneggevole”) e le descrizioni degli artisti come uomini comuni, forse tra le cose più godibili del libro, con le loro piccolezze e idiosincrasie. Tanto che una delle critiche fatte al libro è che in fondo si tratta di una raccolta di pettegolezzi. Eccone uno: “A quei tempi Van Dongen era povero, aveva una moglie olandese vegetariana e alla sua tavola si viveva di spinaci. Sovente Van Dongen fuggiva gli spinaci in una bettola di Montmartre dove certe donnine gli pagavano quel che mangiava e quel che beveva”.
Gertrude,
Alice e Fania Marinoff, moglie di Carl Van Vechten, in una foto di
Van Vechten
Tutto questo fino a che “nella primavera e nella prima estate del '914 la vecchia vita ebbe fine”. Il capitolo (il sesto, “La guerra”) è molto interessante – soprattutto nella descrizione delle manovre della Stein con l'automobile che guidava ma di cui non sapeva ingranare la marcia indietro, mentre prestava servizio insieme ad Alice per l'American Fund for French wounded - ma noiosissimo: pieno di quei “ci piaceva tanto”, “era così caro”, “andavamo straordinariamente d'accordo” che, anche se riconosciamo come segno di stile, non incontrano il nostro gusto...
Pressoché
impossibile dare conto di tutti gli incontri, di cui certo quello con
Picasso fu il più importante (vedi sopra: occorrenze del nome),
quello in cui si avverte persino un interesse psicologico, sebbene
condito di improbabili teorie di vicinanza spirituale ed estetica tra
Spagna e Stati Uniti... Del resto a Picasso Stein dedicò una piccola
e interessante monografia e Picasso fece di Gertrude uno dei suoi più
bei ritratti, poco prima della rivoluzione cubista.
Così termina il libro su Picasso “Nel Novecento tutto si distrugge e niente continua, il Novecento quindi ha uno splendore tutto suo. Picasso è di questo secolo. Ha la singolare qualità di una terra che nessuno ha mai veduto, di cose distrutte come mai sono state distrutte. Picasso, dunque, ha il suo splendore.”
Così termina il libro su Picasso “Nel Novecento tutto si distrugge e niente continua, il Novecento quindi ha uno splendore tutto suo. Picasso è di questo secolo. Ha la singolare qualità di una terra che nessuno ha mai veduto, di cose distrutte come mai sono state distrutte. Picasso, dunque, ha il suo splendore.”
Prima
di riportare il finale con agnizione dell'”Autobiografia di Alice
Toklas” qualche altra parola su di lei, su questa donna piccola, fragile,
minuta, ma così coraggiosa da vivere alla luce del sole un rapporto
omosessuale con tutte le caratteristiche di un matrimonio
tradizionale nei primi decenni del secolo scorso.
Luisa
Marigliano, cui il libro è piaciuto moltissimo, ha fatto una piccola
ricerca guidata da una intuizione “culinaria”, che si è rivelata
corretta. Sottolineiamo en passant che il côté culinario è
un precipuo interesse del gruppo, quasi inscritto nel suo DNA...
Ecco
le considerazioni di Luisa:
Ho
pensato che non poteva essere un caso che il racconto di Karen Blixen
avesse come titolo “ll pranzo di Babette”. Ho consultato un po’
di articoli, blog letterari e di cinema…Sembra molto plausibile che
il nome di Babette sia riconducibile alla figura di Alice Babette
Toklas visto che le due Babette si affermarono come cuoche in terra
straniera.
Alice
Babette Toklas scrisse un libro di cucina pubblicato nel 1954 (The
Alice B. Toklas cookbook) e tradotto in italiano come I
biscotti di Baudelaire (2003).
Ci sono più di 300 ricette che si intrecciano con ricordi
della sua vita, racconti di un’epoca e dell’amore profondo che la
legava a Gertude Stein. Al contrario dello stile paratattico di
Gertrude, Alice adotta la tecnica narrativa del flusso di coscienza,
flusso emotivo, di memorie, tecnica che abbiamo ritrovato in
Faulkner, Dos Passos….Seguendo il flusso dei suoi ricordi ci
racconta delle frittelle ….
Invece
lo stile di Gertrude si può definire “cubista” e si fonda su
scomposizioni, ricomposizioni, momenti spezzati che avvicinati si
fondono ritmicamente.
Il
libro di ricette è suddiviso in capitoli dedicati a temi precisi
come “La tradizione francese”, “Il cibo nelle case francesi”,
“Ricette suggerite dagli amici”.
La
ricetta dei Biscotti Baudelaire fu data ad Alice dall’amico Brion
Gysin che lo definiva ‘un cibo paradisiaco’ perché tra i suoi
ingredienti aveva la cannabis sativa. Ecco cosa ha scritto Alice: “Se
vi lascerete andare potrete provare quasi tutto quello che provò
Santa Teresa”.
I biscotti li abbiamo gustati nel corso della nostra serata letteraria e culinaria (la cannabis sativa non c’era…non ce l'avevo!).
I biscotti li abbiamo gustati nel corso della nostra serata letteraria e culinaria (la cannabis sativa non c’era…non ce l'avevo!).
Sempre
di Luisa, brevi appunti sulla relazione delle due donne (se siete
interessati a più informazioni, il web è abbastanza generoso).
Gertrude
ed Alice si conobbero nel 1907. La data esatta non è certa, per
alcuni era maggio e per altri settembre, quel che è certo che erano
completamente diverse. Gertrude era grassa, autorevole, sexy e
geniale. Alice era minuscola, nervosa, intelligente, guardinga e
ostinata.
Alice
entrò nell’atelier di Gertrude e cercò una sedia dove
accomodarsi ma le sedie erano tutte ‘taglia Gertrude’, i piedi di
Alice non arrivavano al pavimento.
Da
quel giorno, ogni mattina Alice inviava a Gertrude un ‘petit bleu’(
telegramma inviato con posta pneumatica ) invitandola ad una
passeggiata , a recarsi in una libreria o a visitare una mostra. Un
giorno Alice arrivò in ritardo e trovò Gertrude furiosa tanto che
Alice riprese i guanti e si apprestò ad andare via ma Gertrude non
poteva subire quest’onta. Con voce stentorea la richiamò: “Non è
troppo tardi per una passeggiata”. Camminarono per la città per 2
ore, si baciarono e decisero di andare in vacanza in Italia insieme.
Si baciavano, si abbracciavano per strada, divertite dagli sguardi
scandalizzati dei passanti, anzi cercavano con le loro effusioni di
provocare i passanti.
Alice
non tornò mai più a San Francisco.
Erano
in villeggiatura in Italia, a Fiesole, quando Gertrude, senza fiato e
con i sandali in mano, chiese ad Alice di sposarla. Lei si emozionò
tantissimo, si racconta che pianse per 3 giorni. Vi consiglio di
andare vedere le foto del loro “matrimonio” che durò 36 anni.
Gertrude
si alzava presto e iniziava a scrivere continuando fin quasi a
mezzogiorno. Alice le preparava la colazione e gliela portava sulla
scrivania. Nelle belle giornate andavano a pranzo in un piccolo
ristorante a Saint Germain des Près.
Ricevevano
molti ospiti illustri nella loro casa, Gertrude preparava il tema
della conversazione serale, Alice cucinava. Alice amava molto le
torte, i dolci e le aragoste.
La
loro relazione era arricchita da una conturbante sessualità.
Gertrude scrisse un manuale lesbico intitolando ‘Lifting Belly’,
testo tradotto in italiano e pubblicato nel 2010. Nelle lettere che
si scambiavano Gertrude si definiva il marito della coppia, Alice la
moglie. Il nomignolo di Gertrude ‘mountain fattie’ , quello di
Alice ‘’fattuski’.
Alice
fumava tantissimo, era una ‘chain smoker’ (accendeva una
sigaretta con il mozzicone di quella appena terminata).
Gertrude
aveva un barboncino bianco, Basket, ed insieme ad Alice lo portava a
spasso per tutta Parigi, a piedi o in macchina.Sempre
di Luisa, brevi appunti sulla relazione delle due donne (se siete
interessati a più informazioni, il web è abbastanza generoso).
Degli
acquisti si occupava Alice e Gertrude rimaneva in macchina con
Basket, tirava fuori il suo taccuino e scriveva.
Gertrude
amava mangiare e amava la sensazione di sentirsi congestionata.
Diceva di se stessa:’ Sin da quando ero bambina ho apprezzato la
sensazione di sentirmi congestionata.
In
occasione di un breve ritorno negli Stati Uniti, Alice aveva comprato
una pelliccia e Gertrude un cappello di pelle di leopardo. Un’insegna
luminosa di Times Square annunciò: ‘Gertrude Stein è tornata a
New York’. Alice commentò: ‘Come se non lo sapessimo già’.
Nel
1945 ritornarono a Parigi ma il loro appartamento era stato
sequestrato dalla Gestapo, Gertrude con l’aiuto di Alice forzò la
porta, entrò e si accomodò sulla sua poltrona.
Nel
1946 Gertrude fu ricoverata d’urgenza all’American Hospital di
Neuilly. Le fu diagnosticato un cancro allo stomaco. I medici le
sconsigliarono l’intervento ma Gertrude era sicura di non morire.
Alice accettò la sua decisione e l’accompagnò in sala operatoria
camminando accanto alla barella. Gertrude non sopravvisse
all’intervento. Fu sepolta a Parigi, nel cimitero di Père
Lachaise.
Dopo
la morte di Gertrude, Alice ebbe sia problemi di salute che
economici; gli eredi di Gertrude, con uno stratagemma legale, le
avevano portato via i dipinti che Gertrude le aveva lasciato. Alice,
che si era convertita al cattolicesimo, volle essere sepolta accanto
a Gertrude, e che il proprio nome fosse appena cesellato sul retro
della lapide della sua amata, un'ombra come era sempre stata.
E questa è una lettera, scrittura e toni sono diversi dagli scritti
letterari ed è di una tenerezza quesi sorprendente
Ecco dunque, come promesso, il finale dell'Autobiografia, piuttosto geniale.
“E
io sono una discreta donna di casa, una discreta giardiniera, una
discreta cucitrice, una discreta segretaria, una discreta editrice,
una discreta balia per cani, e debbo occuparmi di tutte queste cose
in una sola volta: e mi riesce perciò difficile essere anche una
discreta scrittrice.
Saranno
sei settimane fa, Gertrude Stein mi dice: non mi sembra che abbiate
nessuna intenzione di scrivere quell'autobiografia. Sapete quel che
faccio? La scriverò per voi. La scriverò così semplicemente come
Defoe scrisse l'autobiografia di Robinson Crusoe.
E
così fece. Ed è questa.”
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