lunedì 17 luglio 2017

Dos Passos - Manhattan Transfer



L'incontro su “Manhattan Transfer” di John Dos Passos, nostra penultima tappa nella letteratura americana della prima metà del '900, è avvenuto il 27 aprile. La memoria non assiste molto l'estensore di queste note che non ricorda come si è svolto il banchetto che ritualmente precede il librarsi del gruppo nella disamina critica.... Ma sarà stato come sempre soddisfacentissimo.
Il libro è piaciuto molto a tutti. E c'era da scommetterci per vari motivi.
Anzitutto, disabituati come siamo alla sperimentazione letteraria (roba del secolo scorso), toccarla – o ritoccarla - con mano significa capire che essa non solo non ostacola ma invoglia la lettura. Alla fine si capisce, insomma, come nei casi migliori di incontri letterari, che si è fatta un' “esperienza”, nel senso più pieno del termine.
Secondo, per chi c'è stato come per chi non c'è stato, New York È gli Stati Uniti, il paese che stavamo visitando con le letture.
Quindi anzitutto, una scrittura potente, originale, che, si potrebbe dire, “governa” la trama, e la visione della città.

Molti autori di blog letterari (oltre a quelli della carta stampata) hanno dedicato ultimamente molto spazio ai libri non solo di Dos Passos, ma anche di Fitzgerald, Hemingway, Steinbeck, per un motivo molto semplice: questi autori, che fino agli anni '70 del '900 erano studiati, stampati e letti, a un certo punto sono stati abbandonati dai lettori e dalle case editrici. Da qualche anno sono riprese le ristampe, e in particolare il nostro libro è stato ristampato nel 2002 e poi nel 2012, dopo un'eclissi di circa 50 anni....
John Dos Passos (1896-1970) pubblicò il romanzo nel 1925. L'odore del crollo della Borsa, avvenuto quattro anni dopo, si sente da tutte le parti.

All'inizio del libro ci accoglie uno scenario potente, fatto di acqua: l'acqua in movimento, sporca e piena di detriti del porto (bucce d'arancia... onde vedastre); poi i moli, le banchine e i ponti di traghetti altrettanto sporchi. E poi rumore, molto rumore (arganisaracinesche che si alzano). Poco distante, l'odore del carbone, delle uova fritte. Si è detto che questo è un romanzo olfattivo e uditivo ed è vero.
Emblematicamente i primi due personaggi che incontriamo sono di opposta estrazione sociale. Il primo, Bud Korpenning, è un giovane che viene dalla campagna a New York sognando di emanciparsi dal suo passato (che contiene anche un delitto) e che, molte pagine dopo, a sogno infranto, vediamo gettarsi dal ponte di Brooklyn. Il secondo, Ed Thatcher, è un oscuro contabile con molte ambizioni ma molto mediocre, che va a trovare la moglie che ha appena partorito una figlia, Ellen, che vedremo crescere e diventare una delle protagoniste del romanzo, un'affascinante e riconosciuta attrice di teatro, all'apparenza solida e affidabile, in realtà di una freddezza emotiva sconcertante.
Il personaggio di Ellen è costruito nello stesso modo in cui Dos Passos costruisce l'immagine della realtà, a macchia di leopardo, per frammenti quasi cubisti, per elementi spezzati, non dialoganti, contraddittori. Ellen è non a caso il personaggio che più ci ha fatto discutere...
E poi c'è tutto un mondo di personaggi che si muovono nella città le cui azioni girano attorno a uno scopo centrale: fare soldi, stando attenti a non farseli rubare (“Dollari” è il titolo del terzo capitolo), e affermarsi nella società (un altro modo per dire la stessa cosa); alcuni totalmente sbandati e distrutti dall'abuso di alcool, trasversalmente rispetto alla classe sociale d'appartenenza.
Per affermarsi e per avere successo si accetta di vivere in costante alternanza tra estremi “di sovraeccitazione e di angoscia” (vedi link al libro di Mauro Pala, “Allegorie metropolitane”, qui sotto), di esaltazione e di presentimento di rovina, rovina spesso incarnata dal fuoco, che distrugge palazzi, devasta i corpi.


Nell'ottimo articolo che si trova a questo link: http://www.leparoleelecose.it/?p=6791, si dice che questo non è un romanzo corale, piuttosto un romanzo collettivista, nel senso che i destini sono tutti sullo stesso piano, ma ciò non toglie che ciascuna storia sia nitida e contenga un destino che sembra già scritto. Un piano inclinato verso l'autodistruzione, si direbbe. Se non è un coro sembra un arazzo, un grande arazzo con storie diverse su uno stesso sfondo, piegato secondo l'angolo di visuale del protagonista del momento.

L'"Ulisse" di Joyce era stato pubblicato tre anni prima e il flusso di coscienza si impone (lo userà anche Faulkner, ne “l'Urlo e il Furore”, pubblicato nel fatidico 1929) ma Dos Passos lo spezza e lo piega in un infinito numero di dialoghi mantenendone però il ritmo implacabile e trascinante.

Forse non c'è modo migliore per immaginarsi la città che in questo documentario di Paul Strand del 1921, cui non a caso, si disse che Dos Passos si sia ispirato. Il suo titolo è “Manhatta”.
Eccolo:




Nessun commento:

Posta un commento